Al momento giusto

Che poi la notte arriva.
Ci si affanna per allungare la giornata, per dare un senso alle ore che passano.
Paolo no.
Per anni, dopo che aveva lasciato la casa dei genitori aveva aspettato la notte come i pensionati aspettano l’uno barrato che li porta alla posta.
La particolarità delle notti di Paolo era la luce.
Del frigorifero.
La fantastica invenzione che fa in modo che al momento in cui si apre lo sportello per la stanza si diffonde calore. Il contrasto tra il calore della luce e l’aria fresca carica di aspettative e profumi.
L’apertura del frigorifero, in piena notte, nella cucina buia e silenziosa era diventato l’obbiettivo delle ventiquattro ore.
Mangiare e bere davanti al frigo, illuminato e felice, una sedia piazzata, come se non ci fosse un domani, come se l’alba fosse una minaccia lontana.
Forse quel film: Kim Basinger davanti al frigo che viene imboccata mezza nuda.
Nove settimane e mezzo che avevano distrutto una generazione.
Paolo, aveva provato a rifarla quella scena; aveva anche trovato qualche ragazza che si era gentilmente prestata a interpretare la parte, ma sarà che la Basinger è unica, sarà che le aspettative sono superiori agli eventi non era mai arrivato alla soddisfazione sperata.
E così, apri il frigo oggi, aspetta la notte domani Paolo a trentacinque anni era single, con un ottimo rapporto con la propria qualità di vita. Magazziniere in un mobilificio: turno quattordici ventidue, perfetto per il frigorifero di notte.
Il frigo: condizione necessaria e sufficiente affinché potesse essere sfruttato: doveva essere riempito.
Ovviamente alimenti da consumare crudi e in freschezza, di liquidi che necessitassero di basse temperature. Siccome, come tutti i buongustai del vivere, aborriva le terribili bevande gassate zuccherate si dilettava nell’acquisto e consumo di vini, birre e in particolar modo bollicine: con la predilezione per lo champagne.
Con il passare del tempo aveva affinato la capacità di scelta e abbinamento e quelli che potevano sembrare spuntini notturni divennero vere e proprie degustazioni goduriose.
In quanto alla qualità e alla varietà del cibo aveva le visite quotidiane e accurate nei vari mercati.
Erano la parte logistica preparativa di quella che ormai era diventata una necessità. La vita sociale? Molto limitata: qualche sport amatoriale e pochi amici, ovviamente esisteva un problema di orari, impossibile andare a cena fuori, sarebbe stato come tradire un compagno di vita.
Il frigorifero.
C’era una bellissima luce al mercato quella mattina, esaltava i colori della merce. Paolo sapeva che il colore è il biglietto da visita del cibo fresco, Paolo amava il gusto del colore, la follia cromatica dei banchi delle verdure e della frutta. Leggeva nel rosso cupo dei salumi aspettative di sapore, nel bianco abbagliante delle mozzarelle la guida attraverso la notte. E poi il pesce: l’espressione della forza indomabile della natura, il mare che ha non bisogno di spiegarsi. Non programmava mai: si lasciava ispirare dal passare tra le cose esposte cercando l’equilibrio tra l’appetito e lo sperimentare nuove associazioni, immaginando come sarebbe stato l’effetto con la luce che veniva dalla grotta delle meraviglie.
“Paolo, vieni, guarda…”, tappa obbligata, Manlio il fruttivendolo più giovane del mercato. Quasi un’amicizia ormai. L’uomo teneva in mano una fragola rossa quanto apparentemente succosa, Paolo non poté non visualizzare Kim Basinger che morde le fragole dalla mano del suo amante. La frutta di Manlio si vendeva da sola così Paolo si trovò presto a portare una busta con fragole, banane e mele. Da mettere in fresco ovviamente, per una serata soft… senza Kim.
Mentre si avviava verso nuove scoperte con la coda dell’occhio fu attratto da una macchia di colore: una ragazza, non molto alta, pantaloni blu elettrico, maglione e cappellino rosso così come le scarpe sportive, borsa arcobaleno a tracolla. Stava discutendo con la signora Angela della salumeria.
“Figlia mia, la mortadella arrivata oggi, uno spettacolo, prova.”
“Davvero? Grazie. Però sai come la voglio…”
“Certo, cocca mia, spessa spessa e tagliata a dadini”.
“Grazie Angela”
Paolo rimase ammirato dalla scelta della “confezione” della mortadella, in un mondo ideale immaginava un abbinamento con uno spettacolare champagne davanti a una certa luce, in un certo posto a una certa ora.
Paolo rimase a fissare la ragazza mentre riponeva con grande attenzione la mortadella incartata nella borsa e si allontanava guardandosi intorno.
“Paolì… te sei incantato?”, Angela non gliela fece passare liscia, “è tanto caruccia Federica, e poi sempre pronta, è una che mangia bene, con tutte ste diete le ragazze si sono impazzite. Lei frega niente delle diete.”
“La dieta è uno dei mali assoluti della società. La ragazza colorata ha capito quindi. Federica si chiama… viene spesso, non l’ho mai vista”.
“Si… però non fa gli orari tuoi, di solito viene presto, fa l’università. Dice sempre che la spesa viene prima di tutto, quindi va fatta per primo”.
“Ci capisce… bene. Salutamela la prossima volta. Intanto dammi quella mortadella, lo spettacolo no?”
“Certo Paolì… a dadini giusto?”
“Ovviamente”.
La mattinata la concluse con qualche buon formaggio e una visita in enoteca con bottino di franciacorta e chardonnay, così per essere pronto alla notte.
Non c’era bisogno della sveglia: il turno al lavoro tra scaffali e imballi era dominato dall’attesa, l’attesa stessa era la sveglia ben puntata sul momento, di luce, magia e perché no di una gran fame.
Passarono alcune mattine di organizzazione, altrettante notti di gioia in mezzo a troppe ore di nulla e fu proprio durante una di queste ore vuote, al lavoro, che mentre guidava il muletto dopo aver piazzato una cassa nella collocazione 21B, corridoio 3 sentì uno scatto, rumore come di qualcosa che si rompe spezzandosi.
Erano le ventuno e quarantacinque, fine turno, nel magazzino c’erano solo lui e Sahid, il collega che stava sistemando le carte in ufficio. Fermò il muletto. L’eco del rumore precedente sembrava esserci ancora.
“Sahid!”
Scese dal muletto e si avvicinò all’ufficio, entrando notò Sahid intento a controllare le carte. “Perché non mi rispondi?”
Sahid alzò la testa: “Che c’è?”
“Ho sentito un rumore, qualcosa che si rompe, hai sentito?”
“No… non trovo una bolla”.
“Champagne?”
“Eh?”
“Va beh, vado a cambiarmi. Ti ritrovo quando torno?”
“Se trovo la bolla… eccola… meno male. No. Non mi ritrovi, chiudo e me ne vado.”
“Ok. A domani”.
Dirigendosi verso lo spogliatoio Paolo buttò un’occhiata verso il magazzino: nulla di strano.
Dopo essersi cambiato tornò verso l’ufficio per timbrare il cartellino. Sahid se ne era andato lasciando accese solo le luci intorno al casottino facendo risultare in penombra il resto del capannone. Stava andando verso l’uscita quando vide, distintamente, un movimento tra gli scaffali.
Il coraggio uno non se lo può dare diceva Don Abbondio però le reazioni a situazioni di tensione sono sempre diverse e imprevedibili.
Paolo aprì la porta per uscire e, approfittando che si trovava in un punto buio, la richiuse (sbattendola) senza attraversarla, si buttò sdraiato sotto uno scaffale che stava a circa trenta centimetri di altezza. Silenzio. Paolo in restava in attesa con lo sguardo fisso verso il capannone.
Dopo qualche minuto un rumore di passi arrivò dal fondo. Paolo vide quattro persone, ombre, che camminavano verso i corridoi. Tre piuttosto decise si dirigevano verso gli elettrodomestici, una sembrava invece cercare qualcosa e aveva in mano una cosa, forse un secchio.
“Veloci… di qua… ecco le lavatrici. Samu… apri il portone. Giorgio sta arrivando con il furgone.”
Sembravano abbastanza decisi, uno salì sul muletto che Paolo aveva usato poco prima e cominciò a far scendere gli imballi mentre uno si dirigeva verso il portone carrabile.
Paolo si fece sempre più piccolo e immobile, avrebbe dovuto prendere il cellulare dalla tasca ma le mani gli rimanevano attaccate al pavimento.
“Ehi.. ma che fate? Ho trovato gli armadi… sono qua”, dunque la quarta persona era una donna.
“Lascia perdere, aiutaci con sta roba.”
“Ma volete rubare? Dobbiamo sporcare gli armadi”
Paolo vide l’ombra della donna avvicinarsi agli altri, uno le diede una spinta. La donna cadde a terra. Si rialzò subito e prese a correre in direzione di Paolo. Così si ritrovò fuori della penombra e alla luce Paolo riconobbe un paio di scarpe rosse e un maglione blu.
Alle ventidue e quindici in punto la porta carrabile del capannone fu aperta dall’interno. Alle ventidue e quindici in punto Paolo si ricordò che alle ventidue e quindici in punto si inseriva l’antifurto. Alle ventidue e quindici in punto i sensori dell’antifurto rilevarono la porta carraia aperta. Alle ventidue e quindici in punto le sirene cominciarono a suonare e la stazione dei carabinieri ricevette la richiesta di intervento. Alle ventidue e quindici in punto Paolo se lo diede il coraggio: saltò fuori dal nascondiglio, afferrò Federica per la vita sollevandola da terra e si diresse correndo verso la porta. Botta al maniglione antipanico e via di corsa, sempre con Federica sotto il braccio.
La ragazza non parlava, in mezzo al rumore delle sirene lo scatto degli sportelli della macchina non si sentì affatto. Lanciò la ragazza nel sedile posteriore, mise in moto e partì a tutta uscendo dal parcheggio almeno tre minuti in anticipo sulla prima auto dei carabinieri.
“Non volevo rubare. Gli armadi. Dovevamo sporcare gli armadi con la vernice perché si usano prodotti inquinanti”, Federica un po’ piangeva.
“Lo so”, rispose Paolo.
Che poi le persone si ritrovano al momento giusto.
Che poi spesso il momento giusto è la notte.
Che poi al momento giusto la cosa migliore da fare è godere.
Che poi godere molto spesso è mangiare.
“Hai preso il Cristal?” Paolo la sapeva già la risposta.
“Certo. E tu la mortadella?”, anche Federica.
“Certo.”
“Che ore sono?”
“Le ventidue e quindici. Come tre mesi fa”
“Va bene alle tre stanotte?”
“Si”
“Metto la sveglia?”
“Non serve”
“Però puoi tenere il cappello”.